“Il battito d’ali di una farfalla
può provocare un uragano
dall’altra parte del mondo”
(anonimo)
Chi di voi non ha visualizzato, settimana scorsa, almeno un post dedicato al pastificio La Molisana ed ai suoi presunti formati di pasta fascisti? Probabilmente il 90% di voi sa già di cosa stiamo parlando ma per quel restante 10% facciamo un piccolo passo indietro di nove giorni e ripercorriamo brevemente la vicenda.
Il post originario e la shitstorm social
Tutto è partito con un post pubblicato alle 12.32 di lunedì 4 gennaio da un utente su Facebook che, dopo aver acquistato delle conchiglie rigate del pastificio La Molisana al supermercato, torna a casa e scopre il nome sul pack: “Abissine Rigate”. Poi si reca sul sito del pastificio (www.lamolisana.it) e trova come descrizione del formato di pasta le seguenti parole: “di sicuro sapore littorio”
Da qui il suo j’accuse tramite post Fb (con tanto di foto) dove taccia il pastificio di Campobasso di essere “fascista” annunciando, ovviamente, che non acquisterà mai più nessun formato di pasta firmato dal brand. Ma cosa potrà essere mai, penserete, è solo il post di un singolo utente! Partirà qualche like, qualche commento indignato e poi stop. E invece no, apriti cielo.
Nel giro di 24 ore quello de La Molisana diventa un caso nazionale.
La notizia rimbalza di bacheca in bacheca (addirittura finisce su quella della ex Presidente della Camera Laura Boldrini) arricchendosi di significati, di storie e ovviamente di insulti social al “pastificio fascista”. Si sà, le cattive notizie viaggiano veloci e questa viaggia talmente veloce (arrivando anche su testate nazionali sia online che non) che l’azienda, nel giro di poco più di 24 ore dalla pubblicazione del post, corre ai ripari tramite un comunicato stampa ufficiale in cui non solo si scusa per l’accaduto ma promette anche di cambiare immediatamente i nomi dei formati “incriminati”.
Così un pastificio con un fatturato da 35 milioni all’anno si ritrova, a causa di un post Facebook, nel giro di pochi giorni a dover cambiare i nomi, i pack e ovviamente ad aggiornare le descrizioni su sito web e sui social di tutta una serie di suoi storici prodotti. Infatti i formati di pasta “Abissine” e “Tripoline” sono state trasformate nel giro di pochi giorni (come promesso) in “Conchiglie” e “Farfalline”. Questi che vi abbiamo appena raccontato sono i fatti. Nei giorni seguenti all’accaduto il popolo web e l’Italia intera si è divisa sui social tra accusatori e difensori de La Molisana, parlando anche della buona fede dell’azienda, dell’agenzia che ha curato la comunicazione e della storicità dei formati incriminati (presenti anche nelle linee di pasta di altri brand forse meno noti).
Ma oggi non siamo qui per rivangare sulla vicenda ma per analizzarla dal punto di vista comunicativo prendendola come un caso studio e approfondendo 3 punti fondamentali, a nostro avviso, in questa storia.
Le 3 lezioni che impariamo dal caso La Molisana
Qual è l’insegnamento che qualsiasi brand (di food e non) dovrebbe trarre da questa storia? Per noi sono tre i punti fondamentali da mettere in luce per capire il “perché” di tutto ciò, e utilizzare la storia de La Molisana come un insegnamento per il futuro.
1- Nulla nella comunicazione (e nel copywriting) può essere lasciato al caso
La comunicazione non è fatta solo di immagini ma anche di testi: grandi messaggi, headline di campagna e payoff sono quelli più famosi, più letti e di facciata. Ma poi ci sono anche tutta un’altra serie di copy “minori” (ma di uguale importanza) come bodycopy, descrizioni di prodotti e pagine interne dei siti che spesso vengono snobbate dagli utenti ma che, se scritte in un modo approssimativo o non linea con i valori e la filosofia del brand, possono risultare un boomerang. Il caso de La Molisana è la prova di tutto ciò e la dimostrazione che tutti i messaggi testuali di un brand, dal più grande al più piccolo, devono essere scritti, controllati (e ricontrollati se necessario) e devono riflettere sempre i valori ed essere coerenti con lo spirito del brand e il concept di comunicazione. Se La Molisana avesse fatto uno spot tv delle Abissine avrebbe mai usato la dicitura “dal sapore littorio” nel suo voice over?
2 – Aziende e Agenzie devono fare fronte comune (ed essere pronte a tutto)
Parliamo di quello che in gergo di marketing viene definito “crisis management” ovvero gestione della crisi. In questa situazione il brand La Molisana, una volta sotto attacco, ha ammesso una colpa non sua (scaricando alcune colpe sull’agenzia di comunicazione e sull’autore dei testi) e cercato di rimediare con il cambio repentino dei nomi dei prodotti pur di mettere fine, quanto prima, alla cosiddetta “shitstorm”. Non entriamo nel merito della questione ma crediamo che tutta la vicenda potesse essere gestita meglio sia dall’Azienda che dall’agenzia che, insieme, avrebbero dovuto spiegare e chiarire agli utenti il perché di quel naming (sia a livello storico che di comunicazione). Inoltre, il tutto poteva essere gestito in maniera migliore anche tramite un community management della pagina più attento e puntuale capace di intercettare subito e “spegnere” questo incendio prima che divampasse sui feed di mezza nazione.
3 – Un post può far cambiare il nome di un prodotto? Nell’epoca dei social network sì
Torniamo al titolo di questo articolo, ovvero la potenza dei social. Infatti in questo mondo fatto di connessioni l’effetto farfalla è sempre dietro l’angolo e anche il più innocuo degli utenti, con un semplice post composto da una foto e un testo può, se tocca le corde giuste, generare una tempesta e portare un’azienda con un fatturato milionario a modificare il nome di due prodotti sul mercato! La dimostrazione, ancora una volta, di come i social network siano uno strumento di comunicazione e una cassa di risonanza enorme, veloce e formidabile per le notizie ma anche per i brand stessi spesso nel bene ma, qualche volta, anche nel male.